Luce o buio?

luce e buio

La sorella si avvicinò al lettino, scostò piano le coperte e diede un tenero bacio sulla fronte del piccolo nel tentativo di svegliarlo con ancor più dolcezza quel giorno. Che dire, era arrivato a quota cinque, ma quanto cresceva in fretta quel nanerottolo! Si commosse, scosse il capo risoluta: “No! Oggi no! Oggi non è giusto”, nel suo sonno lui le dava l’impressione di essere uno che voleva bruciare tutte le tappe, l’esser impaziente di diventare uomo doveva essere una sua impronta incisa geneticamente, non era uno che perdeva tempo, e il loro dover proseguire da soli lo condizionava nel sentirsi obbligato a saper gestire la sua vita, non da bambino qual era, da uomo, comunque più maturo e consapevole, quello che voleva essere nonostante fosse tanto piccolo.

E ora toccava a lei, soltanto a lei, ed erano trascorsi solo nove mesi, aiutarlo, senza neanche sapere come, a raggiungere quel traguardo. Quel bimbo non voleva e non doveva essere un peso, così come riteneva lui, sentiva la necessità di collaborare in quella nuova vita che il destino aveva riservato ad entrambi.

Totalmente cieca, non sarebbe stata quella caratteristica a concederle sconti nella sua impresa, portare a compimento quel suo dovere di sorella, ultimamente anche di madre. Si fece forza con un sorriso poco convinto: “Posso farcela, insieme, possiamo farcela!”, avrebbe rallegrato quell’evento con contentezza, iniziando la giornata festosa sin dal suo risveglio.

Ebbene sì, quel minuscolo esserino, quel giorno aveva raggiunto un piccolo traguardo, spesso scontato, ma anche no, come aveva insegnato loro la vita, ma quello era pur sempre un suo traguardo. Era solo al suo quinto compleanno, chissà quanti ne avrebbe passati nella sua esistenza e chissà se lei avrebbe avuto la possibilità di iniziare ogni suo nuovo anno tanto amorevolmente.

Rassegnata scosse il capo: “No! Con lui no di certo”, lo indicò manco lo stesse rimproverando per qualche marachella, “Tanto lo so, i fratelli più piccoli sono tutti uguali. Quando crescerà tutto il mio amore magari gli darà pure fastidio! E questo, questo è già troppo sveglio adesso, chissà quante fanciulle avrà intorno tra dieci o quindici anni, altro che pensare a me quando io sarò vecchia e da rottamare!”.

Il cucciolo aprì gli occhi e sorrise. Una frazione di secondo e assunse un’aria diffidente: “Cosa vuoi? Oggi è il mio compleanno! A scuola non ci vado! Me lo hai promesso! Lo hai detto proprio tu ieri sera”, sputacchiò assonnato e con una dialettica che solo il suo angelo, messa in questo mondo nel ruolo di sorella, di madre, un po’ di tutto insomma, poteva comprenderne la risolutezza.

“Dai, io le promesse le mantengo sempre”, gli si avvicinò ambigua, “E in sala, sul divano, diciamo che ci sono un po’ di cosine che ti aspettano”.

Il ragazzino si accese: “Regali? Per me? Ma hai detto che abbiamo pochi soldi…”

“Credo che tu sia un po’ troppo ridotto per pensare al denaro”, gli fece il suo tanto ambiguo occhiolino furbo, “Sono fatti miei come spendo quello che abbiamo noi due. Goditi questo giorno e non rompere su cose che non ti riguardano”.

“Aspetta, aspetta sorellina! Forse”, e parve sforzarsi di riflettere, “quello che davvero voglio da te oggi, il mio regalo, ecco, non so come dirlo, forse, però sul divano non c’è! Lo so che non c’è!”

La sorella divenne marmorea, parve paralizzarsi. Mantenne un contegno comunque adatto a quel contesto, almeno in quello che era e doveva essere solo un giorno di festa: “Ma… ma… io ti avevo chiesto cosa desideravi. Ti ho preso quello che mi hai detto che volevi! C’è altro che non so? E sei certo di avermelo chiesto?”

Lui non parve udirla, uscì dalle pesanti coperte e si mise a sedere sul bordo dell’economica brandina. La fissò intensamente e lasciò passare qualche istante di imbarazzante silenzio. Infine disse: “Voglio un’altra cosa, una tua promessa”, e prima che la sorella iniziasse a protestare sul fatto che in quella casa, comunque, dovevano tornare sempre i conti, anche le promesse, sì, anche quelle dovevano esser vagliate dal conto corrente prima, le chiese diretto: “Tu starai sempre con me? Io non lo so cosa fare per crescere grande come te. Non ci riesco se tu un giorno decidi di lasciarmi da solo”.

La giovane ne rimase spiazzata: “Scusa… non capisco… cosa mi stai…”, le parole non le uscirono subito, non le uscirono affatto, lei non ne aveva, non almeno di sensate per rispondergli adeguatamente. Chinò con uno sforzo il capo distogliendo lo sguardo, lui il suo sguardo lo vedeva: “Ma non puoi farti il compleanno come tutti senza rendermi la vita complicata più di quello che è già? E poi”, lo cercò nell’aria, raggiungendo infine una manica del suo pigiama, “Chi ti ha ficcato in testa che ho intenzione di lasciarti? Io non l’ho neanche mai pensata una cosa del genere!”

 “Forse, anche se sono piccolo, alcune cose le so da me, altre devo capirle ancora e, da te, come regalo, io voglio spiegazioni e una promessa. E sarà… sarà più bello di tutti quei giocattoli che mi hai messo in salotto”.

Mannaggia alle nuove generazioni, e dire che i dottori lo ripetevano ovunque che a cinque anni erano già ometti. Però, per quanto fosse giovane e minuto, quello iniziava troppo presto a riflettere quando non serviva. Ma era in fondo il suo giorno, lo meritava di essere ascoltato: “Spara, prometto che ti darò retta, qualsiasi cosa tu voglia e, se potrò… esaudirò ogni tua richiesta, spiegazioni comprese”, lo sfidò iniziando a dubitare che, ben conscio che quel giorno gli era concesso un limite più ampio, si stesse solo prendendo gioco di lei.

“Io voglio imparare come vivere bene! E questo non l’ho mica capito io, e devo saperlo… questo, devo io…” , parve perdersi in tutte quelle parole che forse nessuno gli aveva ancora insegnato ma che comunque avevano dei significati ben chiari dentro di lui.

Le si avvicinò stringendole la mano e ritentò: “Capire, devo sapere come fai tu nel tuo mondo da cieca a fare le cose! E io, faccio come te, o devo fare come i miei compagnetti dell’asilo che ci vedono tutti?”

Quella domanda la sorella proprio non se la aspettava. Cieca da quando era ancora in fasce, lei, come funzionava il mondo dei vedenti realmente non lo sapeva. O meglio, le era stato raccontato e ben descritto in ogni dettaglio, era al corrente che forse era tutto un pochino più semplice, ma realmente lei non ci aveva mai vissuto in quel mondo. La sua era esclusivamente la dimensione del buio. E, con tanta spregiudicatezza, senza timori, in quell’oscurità lei ci sguazzava benissimo. Tante soluzioni e stratagemmi che le avevano permesso di diventare adulta e di poter gestire il tutto anche da cieca. Però, quel suo piccolo fratello, cieco non lo era, insegnargli qualcosa che per lei era una specie di dimensione parallela, diversa da quella che lei viveva giornalmente, bhe, era una cosa tosta, proprio un’altra faccenda, davvero una brutta faccenda! “Che casino!”, rifletté e realizzò che, almeno in casa, quando era lei a adempiere alle sue necessità, lui, curioso com’era, osservava, e mentalmente annotava anche, la vita di una persona priva di vista. Ma lui nel buio non ci viveva e chissà quante volte si era chiesto se, per le stesse faccende o incombenze, lui avesse avuto la possibilità di agire diversamente, soprattutto quando uomo lo sarebbe diventato davvero.

Sgattaiolò fuori dal suo letto, si alzò e le si inginocchiò di fronte: “Tu mi stai insegnando tutto. Ma mi insegni da cieca. Io come devo fare le cose? Occhi chiusi o aperti quando non ci sei? E cosa faccio quando cresco ancora?”

Lei non rispose, apparvero solo dei piccoli bagliori di luce al bordo esterno delle ciglia. Le lacrime, in quella situazione imprevista, erano difficili da lasciare fuori dalla porta, cazzo quelle non le fermava neanche il suo buio. Lui se ne accorse e istintivamente le asciugò.

“Io cosa posso dirti? Io sono così, cieca, mi comporto da cieca. Tu… tu… impara e poi riporta il tutto usando anche gli occhi. Pensi che non ti stia dando tutto quello di cui hai bisogno perché son cieca?”

Lui negò fermo: “No! Tranquilla sorellina, mi stai dando tante cose, anche più di quelle che mi servono”, parve ragionarci profondamente e, come se avesse trovato il coraggio, chiese: “E se divento alla fine cieco anche io? Non dirmi bugie, anche tu ci vedevi quando sei nata”, e sbatacchiò una mano in aria, “Devo imparare a fare tutto in tutti e due i modi? Da cieco e da chi non è cieco?”, fece spallucce, “Così, devi dirmelo, e dai… tanto per imparare prima”, tacque, aveva compiuto poche ore prima cinque anni, vada per le domande, ma le risposte era meglio lasciarle a colei che lo avrebbe fatto diventare uomo.

La ragazza passò dall’essere seduta al ritrovarsi sdraiata nel lettino del fratellino in preda allo sconforto e alla confusione: “Cazzo!”, piccolo quanto vuoi, ma in momenti particolari qualche parolaccia ci voleva, indipendentemente dalla presenza di minori, “Cazzo, ma come posso io darti queste risposte? E non puoi chiedermi queste cose tra dieci anni? Trenta sarebbe meglio! Io non ho le verità assolute per un affaretto tanto piccolo come te. Sono cose da grandi e forse io non lo sono abbastanza per quello che vuoi sapere da me!”

Il fratello sorrise maligno. Ma quanto era orgoglioso di mettere in imbarazzo la sorella cieca: “Così impara a rifilarmi quelle schifezze verdi che dice che mi fanno tanto bene. Che le mangi lei. Con ‘sta storia che sono piccolo mi rifila cose che lei non mangerebbe mai”, ritornò composto e volle insistere sul fatto che quella promessa a lui quel giorno gli era dovuta: “E quindi tu starai con me? Per sempre? E sarai tu a dirmi se devo crescere da cieco o da vedente?”

“A me è capitato un qualcosa di sfortunato. Tu non hai quello che ho avuto io, lo dicono i dottori! Tu non diventerai cieco come me”.

“Ma chi?”, domandò curioso, “Quello che ha parlato di quelle cose strane? L’oculista, mi pare? Le diottrie? E dove sono queste diottrie? Scusa, non ho ben capito se sono sopra o sotto le palpebre”.

La donna scattò in piedi e gli si mise davanti con le mani sui fianchi: “Ma a cinque anni cosa diavolo ti interessa dove sono le diottrie?”

“E se le ho anche io, non le riconosco e poi le perdo come hai fatto tu? Dimmi dove sono che ci penso io a metterle in un posto dove le ritrovo quando mi servono. Tu sei distratta sempre, le hai perse, non dirmi bugie e sei cieca perché non ti ricordi dove le hai messe”.

“Senti”, e per la prima volta lei non vide, anche se il vedere era fuori dalla sua comprensione, un cucciolotto venuto al mondo cinque anni prima, scorse con tutti i suoi sensi un uomo adulto, un ragazzo forte, bello e fiero di quello che rappresentava nel creato: “Sarai tu a valutare quando cresci, come esistere in questo mondo. Vedente o cieco… fatti tuoi! non sta a me decidere chi tu debba essere da grande. Io così lo sono diventata perché la vita, almeno la mia, si è dimenticata che al libero arbitrio ne avrei diritto anche io. Cieca sono e cieca rimarrò, fattene una ragione. Ciò non mi impedisce di fare le cose e soprattutto crescerti. Non so come, ma ti farò diventare grande e tu non dovrai subire le fatiche che io ho dovuto affrontare da cieca”, e feroce ringhiò, “Conoscerai tanta gente cieca davvero! E quelli, ti assicuro… stanne certo, quelli sì che ci vedono tutti!”.

“Sai sorellina, una domanda però me la faccio”

“Cazzo”, ringhiò lei in preda allo smarrimento totale, “Hai cinque anni, le domande le faccio io!” a grandi linee lo additò, “Tu non devi fartene, al massimo ti concedo qualche risposta prendendomi il tempo di valutare se te le meriti”.

“Non mi interessa, oggi è il mio compleanno e non puoi darmi punizioni oggi”, e incerto chiese, “Se tu sei tanto brava a far tutto da cieca, a me cosa mi serve vedere?”

“A cinque anni tu dovresti pensare ai pupazzetti che ti ho messo sul divano, a tutti quegli affari che suonano, al videogioco spaziale che pretendi da sei mesi almeno, anche quelli sul divano, cosa ti serve sapere se sia meglio o peggio vederci? Hai cinque anni cazzo, non puoi torturarmi così”, chinò il capo sconfitta, “E dire che mi sono pure alzata alle sei stamattina per farti la torta”.

“Le persone che vedono, la mia torta l’avrebbero presa al negozio ieri sera. Solo tu hai pensato di farmela quando gli altri dormono”, e determinato insistette, “E sei certa che vederci… poi… poi… finisce che il mio compleanno non è più tanto importante?”

“Senti, io ho fatto quello che mi sentivo di fare, non ho di certo consultato l’oculista per una torta”.

“Sorellina stai zitta e ascoltami”, non mollò la presa il cucciolo, “Tu, da cieca la torta me l’hai fatta… rispondi!”, e attese.

Lei ebbe solo la forza di muovere verticalmente il capo in segno di assenso: “Oramai oggi mi hai steso e sei sveglio solo da un quarto d’ora. Chiedi, ma non so se avrò la voglia o tantomeno la forza di accontentarti… tu chiedi… poi decido!”

“Il volermi bene… non sono le diottrie, ovunque sono. E l’amore che tu sorellina hai per me, bhe, neanche quello vive di bianco o nero. Quanto serve davvero vederci? Una sorella bella come te, io la ho anche se cieca!”.

“Ma cazzo, cazzo, cazzo, ma hai sognato un vocabolario stanotte? Ma come puoi farmi domande tanto difficili oggi? Tu sei troppo avanti per aver solo cinque anni. Io a queste verità non posso arrivarci anche se di anni ne ho trenta. È tutto troppo grande per me”, si accasciò sul pavimento liberando tutta l’angoscia che le era entrata dentro da quando quel dannato fratello aveva compiuto gli anni.

Lui non parve turbato, il suo era uno sguardo di chi davvero la sua risposta l’aveva avuta. Ed era sempre quella che aveva in mente da quando aveva sentito parlare di quelle diottrie senza mai capire esattamente dove fossero o a cosa servissero. Di certo, quell’angelo disperato sul pavimento non ne aveva bisogno per renderlo felice. E l’ultima risposta gli arrivò… il vedere quello che c’è fuori non gli serviva.

Sessanta anni dopo

Il Parlamento Mondiale, all’unanimità diede il proprio verdetto:

Votanti 439.

Favorevoli: 439

Contrari: nessuno.

Astenuti: nessuno

Salì commosso sul piedistallo da dove avrebbe dovuto dare le sue direttive per far in modo che il pianeta proseguisse nella sua esistenza. A trent’anni era già un leader e le sue idee innovative, basate nel pianificare le riforme dal più debole sino a risalire gerarchicamente ai potenti della Terra, gli avevano concesso l’attenzione indiscriminata di tutte le nazioni. E lui, andando controcorrente a tutto e tutti era riuscito a sconfiggere la povertà. Aveva fermato le guerre, tutte, i suoi programmi avevano garantito a ogni essere vivente una esistenza meno complicata e soprattutto era riuscito a ricreare l’equilibrio dell’intero pianeta, sotto ogni punto di vista, già, ricordando il suo angelo, che ironia quel particolare, a tutto il pianeta e a ciò che gli apparteneva.

Un’enorme cupola vetrata copriva totalmente il grande palazzo del Parlamento Mondiale. Lui scrutò il cielo, la trovò. Era sempre lì, nella sua modestia quella stella cercava di nascondersi dietro alle altre. Nessuno poteva scorgerla a parte lui.

Ogni tanto, nei vari decenni, qualcuno di importante nasce. A volte questi qualcuno finiscono nei libri di storia, altri diventano leader di religioni più o meno famose ma pare che periodicamente l’universo ci conceda qualcuno o qualcosa che sia oltre. Che abbia la capacità di guidarci come se in fondo ci fossimo tutti smarriti tranne lui.

Sorrise alla sorella cieca. Sempre lì, nella galassia più piccola, quella meno visibile all’universo e, ricordando il suo quinto compleanno ebbe la certezza che forse il vedere le cose davvero non serviva. Non almeno a loro.      

Luce o buio?

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