Anime per l’eternità

Anime per l'eternità

Civitavecchia (porto)

11 novembre 2022

Ore: 06:14

Marta, spintonando un po’ di qua e un po’ di là, riuscì a conquistarsi un angolino sul ponte a poppa. Scrutava attenta nella banchina sottostante, sperava da lassù di riconoscere il suo collega. Da tre anni lo vedeva tutti i giorni dietro a un monitor. Metà busto, un bell’uomo per i suoi standard, eppure la consapevolezza che dopo tanto tempo lo avrebbe incontrato di persona, le dava due sensazioni contrastanti, il timore che quello non fosse esattamente come lei lo conosceva. Percepiva inoltre una seconda emozione, alquanto imprevista, che la disorientava, un senso di familiarità con lui che viveva a cinquecento chilometri da casa sua. E nella vita reale mai si erano incontrati, tutto un rapporto virtuale il loro. Come se Lucio lei lo conoscesse da sempre. In una parte della sua coscienza Marta era ben certa lui fosse esattamente come lei ritenesse che fosse: “Mi sto plagiando la mente. Sono io che me lo aspetto come voglio che sia”, provò a convincersi ossessionata da quei pensieri. E si era passata tutta la notte nella cabina a tormentarsi, chi era davvero Lucio? Come passava le sue giornate, i suoi hobby, chissà se leggeva libri, ma poi cosa leggeva, magari quello preferiva la televisione: “Ma perché non dormo come tutti in questa cavolo di nave? Poche ore e queste risposte le avrò senza dovermi rimbambire tanto”, e si era girata e rigirata decine di volte con lo stesso quesito insensato: “Ma io lo so bene chi è e com’è! Perché diavolo continuo a chiedermelo? Ma poi…ci devo andare a una cena aziendale, mica devo sposarmelo?”, provò un brivido ghiacciato percorrerle la schiena.

MOLO

06:15

Lucio, parcheggiò la sua Audi TTS coupé e, a grandi falcate, si diresse al molo. In anticipo di mezz’ora rispetto all’arrivo previsto del traghetto da Olbia: “Difficile, sono sempre in ritardo quelli! Meglio non rischiare, si sa mai che proprio oggi sia l’unico giorno che arrivano prima”, si allacciò stretto la giacca di pelle, “Speriamo si sia coperta, lei forse non lo sa che il clima qui è parecchio diverso da Carbonia”, e scosse il capo sghignazzando, “Non ci avrà neanche pensato quella! È troppo distratta per portar attenzione al clima”, sorrise immaginandola poco vestita in quella fredda mattina, ben certo però della potenza del suo climatizzatore.

Traghetto

06:25

Marta non lo riconobbe. Troppa gente sul molo. Sbuffò: “E che diavolo ci fanno tutti quelli? Ma c’è una festa qui oggi?”, raccolse il suo trolley e si diresse al garage, come consigliato in tutta la nave. Lei però era a piedi: “E cazzo! E ci sarà anche qui una scaletta come a Olbia?”, scorse un marinaio ben vestito di una uniforme candida e gli corse incontro: “Scusi! Mi scusi, io sono a piedi, dove devo recarmi per scendere?”

Il giovane uomo di mare indicò una rampa di scale: “Due ponti sotto. Si ritroverà alla scaletta, ci sono i miei colleghi. Chieda a loro”, si girò e le indicò il petto, “Signora, fuori non ci sono più di dieci gradi, le consiglio di coprirsi”, la salutò con un elegante e formale inchino e, spedito si diresse ad aiutare due anziani che faticavano con le valige.

Marta si osservò il petto, aveva solo la camicetta ben allacciata sino all’ultimo bottoncino. E quello che si poteva intravedere con quel freddo, be, si intravedeva bene. Faceva caldo la sera prima al porto di Olbia. La giacca era finita nel trolley. Era di pelle, non si sarebbe sgualcita. “Cazzo! Ma quanto si vedono!”, aderente, chiara e molto sottile, “Ma perché non ci penso prima alle cose io?”, non aveva tempo, voleva scendere, “Chi se ne frega, Lucio mi ha visto in canottiera! Come sono fatte lo sa bene”, e ricordò quelle video conferenze in estate quando a Carbonia alle nove di mattina c’erano già 37 gradi. Dopo i primi appuntamenti on line con la magliettina aziendale, aveva optato per una canottiera domestica non indossando sotto il reggiseno. Naturalmente, non è che si mettesse tanto comoda in Call con tutti. Quando era certa Lucio non fosse solo, caldo o non caldo la sua giacca elegante con il logo dell’azienda sul taschino, era sempre presente. Il suo condizionatore purtroppo era agli ultimi, poco più che un ventilatore, quelli nuovi costavano un patrimonio. Lei non si sentiva mai imbarazzata con Lucio e il fatto che d’estate fosse poco vestita, a lui non pareva creare nessuna emotività. Quello parlava sempre e solo di lavoro. Con il passare del tempo, entrambi, nonostante la professionalità delle loro videoconferenze, iniziarono a percepire una complicità del tutto inspiegabile. Al quarto mese, parevano amici di vecchia data.

MOLO
06:34

Lucio si avvicinò alla scala e guardò in alto verso il portellone. Non c’era: “Passano gli anni, Marta non imparerà! Puntuale non lo sarà mai. e ridacchiò, “Marta, Marta, quante cose conosco di te anche se non me le vuoi confessare!”.

Traghetto
06:45

Frettolosa giunse alla scaletta con un braccio che le copriva il seno e l’altro tesissimo nello sforzo di tener sollevato il bagaglio: “Posso scendere?”

“Certo signora. Torni presto a viaggiare con noi”, le rispose cordiale una giovane recluta dell’accademia navale, così almeno ipotizzò Marta.

Fece due passi e si bloccò al primo gradino: “Vaffanculo!” Sollevò il trolley con due mani, non l’aveva lei tutta quella forza per scendere quella dannata scaletta con quel macigno che si era portata dietro per passare un week end a Roma, “E non sarò mica l’unica con le tette infreddolite!”, e un flash la fece avvampare, “A Lucio piace quando c’è freddo, almeno quando lo patisco io! Vedrai che la mia camicetta gli piacerà!” Scacciò quel pensiero malizioso e stette attenta ai gradini alti  sotto di sé. Indossava anche una gonna elegante sopra il ginocchio, troppo stretta per quell’impresa. Senza dimenticare poi i tacchi alti che le davano un’aria di gran sventola in carriera: “Ma che cazzo di idee mi vengono. La cena aziendale è domani! E non potevo mettermi in tuta e scarpette da ginnastica per viaggiare?”

 Scese l’ultimo gradino affannata e alzò la testa restando paralizzata, senza parole: “Nel monitor sembri più basso!”, esclamò impressionata senza neanche salutarlo, “Ma sei cresciuto stanotte?”, e infine sorrise a Lucio che si doveva avvicinare ai due metri. E lei non è che fosse poi tanto piccolina, uno e settantaquattro era una bella media per le donne sarde: “Deve nevicare dove ha le orecchie!”, si disse certa e non fece in tempo ad afferrare il trolley che lui lo aveva già preso e lo teneva manco fosse un bambolotto. Marta si mise in punta di piedi e lo baciò su una guancia: “Incredibile, ci incontriamo dopo tre anni che passiamo quattro ore al giorno insieme. Contento? E dai, dimmi di sì!”

Lui annuì sorridente: “Tre anni sono stati anche troppi! Avremmo dovuto incontrarci molto prima. Seguimi! Alla macchina che ti scaldi un pochino, stai gelando!”

“E figurati se non se ne accorgeva!”. Quando c’era freddo le sue curve, quei due grossi bottoni al centro del petto, risultavano sempre troppo evidenti al mondo. Ancora quella sensazione di complicità con quello sconosciuto, non le creava imbarazzo, anzi, e si diede della stupida per quell’assurdità, non le dispiaceva affatto che l’avesse notata, “anzi…”, si ridisse mentalmente, la sua razionalità però la pensava diversamente, “E chi se ne frega! A lui è piaciuto? Certo che sì! A me può farmi solo contenta…”.

 Giunsero a quel bolide sportivo e Marta ne rimase affascinata: “Questa sì che deve correre!”, e fece spallucce. Vero, Lucio era sempre stato quello che si sceglieva il cavallo più pregiato, il purosangue, lo stallone che tutti gli invidiavano: “E che diavolo c’entrano i cavalli adesso?”, ed entrò nell’abitacolo non appena udì la serratura aprirsi.

Anche lui vi entrò fulmineo e avviò il motore. Rapido sparò l’aria calda nella direzione di Marta. Questa si afflosciò nel sedile lasciando ricadere le braccia stanche. In quella posizione il suo seno era ancora più evidente, ancor di più le sue evidenze già ben notate dal suo collega, di certo anche dal marinaio: “Chi se ne frega, me le ha già viste prima”, pensò godendo di quel tepore. Senza nessuna ragione logica Marta lo fissò interrogativa: “Tu vai a cavallo? vero?”

Lucio parve avere un attimo di smarrimento: “Sì! Ne ho due, due arabi. Quando mi avanza un po’ di tempo mi dedico a qualche cavalcata”, e sospettoso chiese, “E tu come fai a saperlo? È una mia passione che di solito non dico a nessuno…”.

Marta  una mano in aria: “A, non farci caso, il sesto senso di noi femminucce”, sdrammatizzò voltandosi dall’altra parte per non farsi beccare con le guance violacee.

Lui avvicinò una mano al suo petto, le accarezzò il capezzolo sinistro con un dito percependolo vibrare: “Forse è il caso che tu ti vesta o rischi di ammalarti da queste parti. Hai una giacca con te? Possiamo fermarci ad acquistarne una se non l’hai portata”.

Marta scattò: “Ma che cazzo fai? Ma come ti permetti? Ma per chi mi hai preso?”

Lucio alzò le mani imbarazzatissimo: “Mio Dio…scusami…io non volevo…non lo so perché ti ho toccata, l’ho fatto d’istinto senza pensarci! Sono mortificato, non sono  da me certi comportamenti”, e scosse il capo nervoso, “Ma che cazzo mi è venuto in testa!”, e provò a stemperare quella tensione, “Perdonami. Perdonami davvero, io non lo so…”, e tacque.

“Mi hai per caso preso per tua moglie che ti viene d’istinto toccarmi le tette?”

“Non sono sposato io”

Marta divenne paonazza: “Non prendermi per il culo! Hai capito cosa intendo! Fidanzato? Hai una compagna, una vicina di casa che soffre di solitudine…toccale a loro, non a me!”.

“Nella mia vita non c’è nessuna donna. Ne fissa, tantomeno occasionale! Sono solo da oltre due anni”.

Marta lo fissò dubbiosa. Alto, atletico, un viso molto elegante, quasi da principe azzurro: “E pretendi che ti creda? Vuoi convincermi che uno come te non ha donne intorno?”, e le venne un dubbio, “Non è che tu preferisci gli uomini…come me intendo? Anche a me piacciono gli uomini”, chiese ben certa che a quello le donne piacevano, lei soprattutto gli piaceva. E cosa c’era di male se gli piaceva. A parte toccarle le tette senza permesso, in effetti non c’era nulla di male. Ebbe una certezza improvvisa: “Anche se mi tocca le tette non c’è nulla di male, l’ha sempre fatto e mi è sempre piaciuto”.

“Sai Marta, da quando sono diventato primo azionista dell’azienda, io non ho più tempo per altro. Proprio poche ore la domenica mattina per i miei cavalli”, e fece spallucce sconsolato, “Ormai in azienda praticamente ci vivo”.

Marta si liberò delle scarpe: “Mi hanno stufata!”, si alzò la gonna riponendo i piedi sotto di sé e lo affrontò a muso duro: “Tu mi stai dicendo che sei il mio capo? Sei tu che comandi l’azienda? E io sono la prima segretaria del datore di lavoro? E me lo dici dopo tre anni?”

“E che differenza può fare per te? Sei una collaboratrice validissima. Hai delle qualità che han portato i miei acquirenti a percepire la nostra professionalità…”.

Marta spudoratamente si indicò il grosso capezzolo, ancora ben visibile nonostante l’aria calda: “E per te sarebbero queste le mie qualità?”

Lucio le lanciò uno sguardo di fuoco: “Adesso sto parlando di lavoro. E il lavoro per me è una cosa seria. La mia è una azienda professionale e rispettata. Nulla”, e fu lui a indicarle il petto, “Quelle non dovranno mai influenzare la mia attività. La mia azienda non dovrà mai essere coinvolta in scandali. Sono la prima arma della concorrenza per portarti via i clienti, Il tuo operato ha fatto crescere la mia società come mai mi sarei aspettato in soli tre anni”, e divenne glaciale, “Il tuo ruolo non è in discussione. Anzi, ritengo che con le tue qualità, quelle lavorative, dovresti prenderti in carico mansioni dirigenziali che adesso mi devo accollare io perché non ho nessun collaboratore di cui mi fidi davvero”, sospirò, “E magari trovo davvero il tempo di riprendere anche buona parte delle mie passioni, soprattutto lo sport”.

“Capisco”, Marta si rimise comoda per quanto quei sedili sportivi potessero definirsi comodi: “E quindi…hai smesso pure di nuotare? Strano, l’hai sempre adorata l’acqua”, e le apparve una immagine di lui che lottava con onde di oltre un metro e lei che gli urlava di venir via da quel dannato mare in tempesta.

La osservò inebetito: “E a te chi lo ha detto? E non dirmi io perché non parlo ai miei collaboratori, a chiunque, di ciò che faccio quando esco dall’ufficio”, non attese risposta, inserì la marcia e si introdusse nella statale che conduceva alla capitale.

Lei fece spallucce: “Non so! E qualcuno me lo avrà pur detto che ti piace nuotare! E mica me lo sono inventata!”

“Mediti ancora? Non è che mi hai visto nuotare in qualche tua tecnica di rilassamento profondo?”

“Ferma questa cazzo di macchina! Adesso!”, urlò feroce Marta. Lui obbedì prudente, era ben al corrente che, quando la sua donna si arrabbiava tanto, era meglio obbedire e non protestare. Entrò nel parcheggio di una pizzeria chiusa a quell’ora. Era deserto. Mise in folle ma non spense il motore.

“La mia donna? Ma che cavolo ho in testa oggi? Dev’essere lo stress, lavoro troppo io!”, e le rivolse lo sguardo pronto a tutti quegli insulti che quella mattina si meritava di certo.

“Tu adesso mi dici”, e come una saetta Marta gli portò una mano al collo poggiando e iniziando a premere il pollice sulla giugulare, “Ho anche dieci anni di arti marziali alle spalle. Sai anche questo di me?”, e gli fece percepire l’unghia lunghissima e ben affilata nella pelle, “Muoviti di un millimetro e la tua aspettativa di vita scenderà sotto i trenta secondi”, e imbestialita con la mano destra gli afferrò i testicoli iniziando a stringere senza scrupoli, “Questo non l’ho imparato nelle arti marziali! Ti assicuro però che, se non mi rispondi non ti servirà più a molto toccare le tette a nessuna”.

“Scusa…scusa…mi stai facendo male…cosa vuoi sapere, giuro che ti rispondo”.

“Chi ti ha detto che medito io? Non lo sa nessuno. Neanche i miei genitori. Esigo sapere adesso come cazzo fai a saperlo tu!”

“Non lo so davvero! Pensavo me lo avessi detto tu! Io so tante cose di te. Se le so è solo perché tu me le hai dette”, e si zittì. Lucio pareva conoscere tutto di quella donna ma realmente non sapeva come. Eppure, anche lei era ben informata dei cavalli e che fosse pure un gran nuotatore. Che qualcuno, la sua più diretta concorrenza fosse arrivata al punto di spiarli entrambi? Marta aveva iniziato a meditare da piccola e non aveva mai smesso. E sapeva anche che quelle tecniche lei le considerava tanto personali che neanche a lui le avrebbe mai rivelate.

Marta si rilassò leggermente ma non mollò la presa. Socchiuse gli occhi e le apparve il loro passato. Una visione  che la sganciava dalla realtà che stava vivendo, con quello che portava dentro di sé la sua anima gemella! Vide Lucio a Cavallo, un purosangue pezzato, poi la loro tenda. Un piccolo fuocherello acceso in mezzo a un cerchio di sassi. Udì la furibonda galoppata dei bisonti. Qualcuno li stava cacciando. E quanto era buona quella carne. Fuori dalla loro tenda non c’era nessuno. I loro due cuccioli dovevano essere andati al fiume a giocare con le altre pesti del villaggio. Poteva finalmente godersi il suo amato senza fretta”. Marta silenziosa lasciò la presa e dolcemente gli sfilò i pantaloni: “Amore mio! Lucio…io credo di aver compreso solo adesso”, gli sorrise commossa e si rilassò sul suo ventre. Lui si accorse delle sue lacrime, non si preoccupò, erano lacrime di gioia quelle. Marta Scese ancora e iniziò a baciarlo con ardore, come tante volte aveva fatto.

Lui ebbe un fremito e ripose le mani sul capo di Marta. I suoi capelli non erano corti e ricci come in tutti quei tre anni. Li vedeva lunghi e neri, raccolti in una lunga coda, con quella fascia di cuoio sulla fronte, caratteristica della loro gente in quella riserva. La sua pelle era scura, vellutata e i suoi occhi leggermente affusolati, quasi orientali. A fargli provare quel piacere, in quel momento che esisteva sia nel passato che nel presente, c’erano due donne. Lucio si accorse che le amava entrambe, una era Marta, l’altra…ancora Marta, diversa ma sempre Marta. Marta si sfilò definitivamente la gonna e lo invitò a sé: “E figurati se la tua auto non fosse qualcosa di piccolo e scomodo! Tu non cambi mai!”

“Come la nostra tenda”, disse Lucio certo, “Hai ragione, chissà Quante volte mi avrai detto di ingrandirla”, e fu lui a iniziare a baciarla dal famoso primo loro capezzolo scendendo sulla pancia e raggiungendo il paradiso di Marta, o delle Marte, non sapeva più quante fossero, quante ne aveva avute di Marte ma era sempre la sua stessa Marta. E quello era il paradiso che lui aveva sempre adorato di tutte le sue Marte. Da quando le loro anime si erano incontrate per la prima volta, forse centinaia, migliaia o decine di migliaia di anni prima. Non importava, Lucio e Marta, sempre e solo loro due per l’eternità.

Anno 2283

Stazione spaziale Fiumicino.

Pista di decollo 3.

“Comandante, potete decollare e buon viaggio”.

“Ok torre di controllo. Tenete il Martini in fresco. Per una consegna a Giove, tre giorni, non di più, poi dipende sempre dal traffico. Sapete bene che nei periodi di festa è sempre un casino viaggiare”.

“Comandante! Già fatto!

 Adorabile liquido giallo ben in fresco”, e aggiunse, “Comandante, mi faccia poi sapere com’è il nuovo maneggio sulla base 6. Me ne han parlato bene. Se piace anche a lei potrei decidere per una vacanza prossimamente”.

“Certo, le farò un rapporto ben dettagliato”, e riportando la mente alla missione chiese: “Entrato nell’atmosfera di Giove poi ci pensano loro? Come sempre?”

“Affermativo comandante. Entri in orbita e passi i comandi al calcolatore. Potrà approfittarne, ci vorranno almeno tre ore, per conoscere meglio il suo nuovo secondo”.

“Vice comandante Marta…vero?”

Esatto. E ci stia attento, pare che abbia un bel caratterino quella!”

“Tranquillo, poi le farò sapere. Chiudo e decollo!”, osservò l’orologio, “Interessante. Prima missione, tra cinque minuti si decolla e il mio secondo pilota non si è ancora visto. La puntualità non deve essere il suo forte”.

Udì dei passi frettolosi andare verso la sua postazione: “Salve Comandante! Sono Marta il suo secondo pilota per questa missione”.

Lui le indicò il suo posto: “Si accomodi e attivi le procedure di verifica decollo. Mancano pochi minuti al via libera”, e si voltò ad osservarla.

Marta si paralizzò. Lui non fu da meno e ne rimase affascinato: “Noi per caso ci siamo già conosciuti tenente Marta?”

Lei lo additò truce: “Lo so che ti sei portato dietro il cavallo!”

“Veramente li ho portati tutte e due”

Roberto Abutzu

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